“Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente.” Così Rita Levi Montalcini, spiegava il suo rapporto con l’invecchiamento.
In un momento storico in cui tutto sembra orientato verso il giovanilismo, rendersi conto che l’invecchiamento è un passaggio necessario e naturale diventa quasi rivoluzionario. Sappiamo tutti che la nostra lotta contro il tempo è arrivata al paradosso negli ultimi trentanni.
Troviamo con facilità attorno a noi persone over 65 che si vestono, si muovono, si relazionano, fingendosi 20enni: un grande teatrino che non sembra per nulla sano dal punto di vista mentale. Alcuni studi sono arrivati a rilevare l’importanza, dal punto di vista psicologico, dell’accettazione dell’invecchiamento.
Accettare non è sinonimo di rassegnazione, è bene specificarlo. All’inizio del ‘900 donne e uomini, rispettivamente, avevano una prospettiva di vita di 48 e 45 anni. Oggigiorno l’aspettativa per una donna è di 83.6 anni e per un uomo di 78.1. Questo dato ci fa intuire quanto sia diventato importante analizzare e capire al meglio un processo che coinvolge oramai una parte così importante della popolazione.
Gli ultra 65enni sono diventati una maggioranza e non più una rarità. Ecco perché anche la scienza in generale, e la psicologia in particolare, si vede costretta ad analizzare a fondo questa parte della vita: gli ultimi decenni. L’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) ad esempio, è una terapia comportamentale di terza generazione volta a introdurre il concetto di accettazione tra le persone anziane.
L’invecchiamento non si può combattere, non va visto come un nemico da sconfiggere, ma come una condizione con cui bisogna fare i conti.
Si cerca di sviluppare una consapevolezza dell’invecchiamento, dell’inevitabilità di questa fase. Non si cerca di evitarla o di auto-ingannare le nostre percezioni. Non si può vivere occupando le nostre migliori risorse nel vano tentativo di ingannare qualcosa che non può essere ingannato.
E’ necessario accettare questa fase importante della vita e senza giudicare, capire la bellezza e gli insegnamenti, a volte amari, di questa delicata stagione. L’accettazione anche dell’esistenza di patologie, come ad esempio il diabete, il dolore cronico, i reumatismi…, o della perdita dei propri cari, è assolutamente necessaria ai fini di una buona salute mentale.
La percezione della qualità della vita nei pazienti che hanno provato l’ACT, è assolutamente più alta. In effetti questa terapia comportamentale è solo agli inizi e non ci sono quadri statistici sufficienti per potere esporre un quadro chiaro e completo, ma sono piuttosto evidenti diversi fattori che ne testimoniano l’efficacia.
Innanzitutto, grazie all’ACT, si sfugge ad un adattamento basato per lo più sull’evitare il problema. Inoltre si lavora su quei valori che l’individuo riscopre in tarda età e che devono essere ben approfonditi dal soggetto stesso.
E’ un approccio più orientato su pratiche simili alla “mindfulness” di cui vi abbiamo parlato in un altro articolo MINDFULLNESS: SMETTERE DI GIUDICARE, LA STRADA PER LA CONSAPEVOLEZZA.
La ACT prende invece le distanze dalle metodologie come la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Non si evita nulla, si accetta. E’ un concetto, quello dell’accettazione, sempre più distante dalla cultura occidentale, mentre in quella orientale è sempre stato presente.
Alcuni studi hanno dimostrato che in tarda età l’individuo tende ad imparare a gestire meglio le proprie emozioni ed anche se i suoi processi cognitivi vanno in deperimento, la vita può essere estremamente felice.
Chi si impegna in una lotta senza quartiere contro l’invecchiamento è destinato a fallire e, secondo studi psicologici, a sviluppare una conseguente depressione.
Chi invece riallinea i suoi obiettivi in considerazione del processo d’invecchiamento, si adatta meglio alle nuove condizioni e per questo ha una percezione di qualità della vita molto più alta.
L’aumentare dell’età dovrebbe portare con sé un aumento delle capacità della gestione dell’emotività e una forte capacità di adattamento attraverso l’accettazione. Gli antichi avrebbero chiamato questa fase di sviluppo saggezza.
Questa grande capacità che si sviluppa nelle persone anziane, se viene sostenuta e allargata grazie a pratiche come l’ACT, diventa un indispensabile strumento terapeutico nei soggetti più fragili. Si pensi a chi va incontro a lunghe ospedalizzazioni o chi affronta disagi psicologici importanti.
Vi lasciamo con un brano di Corrado Pensa, tratto dal suo libro “L’intelligenza spirituale”, che riteniamo molto adatto per riflettere su questo argomento.
“L’abbandono-accettazione non è un aspetto tra gli altri del cammino spirituale, ma ne è, piuttosto, il cuore. Nelle parole di san Francesco di Sales: l’abbandono è la virtù delle virtù.
Alla non accettazione di sé si accompagna inesorabilmente la non accettazione degli altri.L’accettazione, la via rasserenante del sì deve estendersi capillarmente a tutta la nostra vita. Ma questo processo rigenerativo non può aver luogo senza che, anzitutto, si instauri una seria amicizia per noi stessi, in luogo dell’inimicizia e della distruttività.
Inimicizia e distruttività che, si badi bene, sono anche il nucleo di atteggiamenti apparentemente volti alla cura di sé, quali l’orgoglio o il narcisismo.
La natura profonda, intrinsecamente luminosa, della mente-cuore è offuscata dalle afflizioni dell’attaccamento-avversione-ignoranza.
La chiusura o la contrazione del cuore è la contrazione contro ciò che è spiacevole ed è la contrazione intorno a ciò che è piacevole. Se vogliamo, poi, il comune denominatore di avversione e di attaccamento è la paura, paura di incontrare lo spiacevole (avversione) e paura di perdere il piacevole (attaccamento).
Ora l’opera della meditazione di consapevolezza è, né più né meno, l’apertura del cuore, allevare un’attenzione non giudicante.
Quanto più entriamo in contatto – mercé la consapevolezza – con la contrazione, tanto più cominciamo ad aprirci.Dunque: più entriamo in contatto con la non-accettazione o paura e sentiamo il suo effetto tagliente e divisivo, più ci rivolgiamo fiduciosi verso l’accettazione e verso il suo spirito unitivo.
Dice un grande maestro cristiano dell’abbandono, il Padre Jean Pierre de Caussade: «La pratica di accettare a ogni istante lo stato presente può, da sola, mantenerci sempre nella pace del cuore e farci progredire molto senza ansietà, turbamento e inquietudine».
Nel buddhismo un’accettazione matura si chiama equanimità.
Quanto più apprendiamo l’arte dell’accettazione, tanto più qualcosa cresce in noi: ci rendiamo conto che l’accettazione ci dona la ricchezza di una pace più salda di quella finora conosciuta.Una pace che porta con sé apprezzamento (invece di attaccamento) per ciò che è piacevole e rispetto per ciò che è spiacevole invece che avversione e paura.
Oltre il vasto mare della sofferenza e dell’ignoranza, c’è altro e questo ‘altro’ è già qui, in noi, nel mondo.“L’altro” impaziente che si possa giungere a una «Condizione di semplicità assoluta / Che costa non meno di ogni cosa. / E tutto sarà bene / E ogni sorta di cose sarà bene» (T.S. Eliot).
La facilità alla gratitudine è il polo opposto al dare tutto per scontato, che è una forma di indurimento, una forma di chiusura, a volte penosamente cronica.
La facilità alla gratitudine è il contrario del sentirsi dolorosamente in credito, di sentire spesso – o sempre e comunque – di non essere abbastanza, di non avere abbastanza, di non ricevere abbastanza: grandi sofferenze, che la pratica ci aiuta progressivamente a comprendere e a sciogliere.
La consapevolezza è una grande compagna della gratitudine, la consapevolezza ci fa notare con grande tranquillità tutto quello che riceviamo, ce lo fa scoprire con naturalezza.
Va crescendo la naturale prontezza alla gratitudine per piccole, piccolissime cose. Ma la gratitudine non è piccola: l’occasione è piccola per i criteri convenzionali, un saluto, una telefonata, un incontro, l’improvvisa apparizione di un bosco dopo una curva. La prontezza alla gratitudine. La capacità di meravigliarsi e dire grazie. Grazie, grazia, gratitudine”