Nel suo libro Vocabolario, Igor Sibaldi si dedica alle “parole dei mondi più grandi”.
CORAGGIO. Viene dal latino cor, «cuore». E al pari di molte altre parole che finiscono per –aggio, indica:
- un agire che abbia un preciso scopo (come in «atterraggio» è il giungere terra; in «ancoraggio» è l’ancorarsi ecc.);
- l’ampiezza di qualcosa (come in «voltaggio», «amperaggio», «pescaggio» ecc.).
Coraggio, perciò, vuol dire fare cose che rivelino (a te innanzitutto) il tuo cuore, cioè la tua autenticità; e scoprire in tal modo quanto è grande quel che in te è autenticamente tuo. Mentre il contrario del coraggio, la codardia, è l’andare a coda bassa, accodandosi ad altri.
In tal senso letterale, il coraggio è ciò che, consapevolmente o inconsapevolmente, cerca chiunque sia attratto dalla Sapienza. Perciò l’ultima fase dell’Iniziazione si chiama da millenni l’«opera al rosso», o rubedo: è il momento in cui, nella personalità nuova dell’iniziato, il cuore comincia a battere e il sangue a pulsare.
Bisogna «collocare il cuore al suo posto», dicevano i sacerdoti egizi; e saper dire «sì» quando per te è sì, e «no» quando per te è no, diceva Gesù nei Vangeli (Matteo 5,37). È una perfetta definizione della salute psichica, dell’armonia interiore. E un nuovo modo di agire ne è sempre la manifestazione: è infatti impossibile accorgersi del proprio cuore e lasciare tutto così com’è; caratteristica fondamentale del coraggio è il far nascere e il realizzare desideri; il coraggio fa chiedere, e chi non chiede non ha ancora cuore. Altrettanto impossibile, poi, è che questo chiedere cessi, se non quando dal coraggio si retrocede a quel che si era prima di averlo conquistato.
Sabrina Sotgiu